Congelare i crediti fiscali delle banche derivanti dalle imposte differite (DTA, Deferred Tax Asset) per il 2026 e il 2027. Sarebbe questa la prossima azione del Governo Meloni, così da poter raccogliere qualche miliardo di euro in più per la Manovra di Bilancio 2026.
L’ipotesi del Governo: sospendere le DTA
A riferirlo è l’agenzia Bloomberg, secondo la quale il governo punta a raccogliere ulteriori 1,5 miliardi dalle banche, posticipando di un altro anno la sospensione (o congelamento) delle DTA, ossia i crediti di imposta derivanti da perdite pregresse che vengono utilizzati per abbattere il carico fiscale.
Ma il Ministero dell’Economia e delle Finanze chiarisce: “È solo una delle possibili opzioni prese in considerazione e al momento non ci sono quantificazioni numeriche. Dobbiamo ancora sederci con le banche e discutere la questione“.
Oltre alla sospensione delle DTA, a Palazzo Chigi si valutano anche altre misure per il settore bancario, tra cui una possibile tassazione dei riacquisti di azioni proprie (buyback).
I precedenti tentativi del Governo sul settore bancario
Non sarebbe la prima volta che l’Esecutivo targato Meloni cerchi di reperire risorse nel comparto bancario per alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio.
Un piano basato sull’assunto che, negli ultimi anni, le banche abbiano ottenuto entrate e profitti extra grazie soprattutto all’aumento dei tassi di interesse della BCE a partire da luglio 2022. In realtà, i guadagni sono andati a vantaggio degli azionisti, grazie a dividendi generosi e alla rivalutazione dei titoli in Borsa, anche per effetto dei buyback.
Da qui l’idea di pretendere un maggiore contributo fiscale dagli istituti di credito. Non è un caso che già nel 2023 il Governo avesse tentato di introdurre una tassa sugli extra-profitti, salvo poi fare marcia indietro dopo le reazioni negative dei mercati finanziari.
Tra l’altro, già le DTA sono state al centro dell’attenzione da parte del Governo. La legge di Bilancio dello scorso anno aveva infatti introdotto un congelamento biennale delle DTA per il 2025 e 2026. Un’operazione che ha portato 3,4 miliardi di euro divisi fra i saldi di finanza pubblica di quest’anno e del prossimo.
Le possibili conseguenze del congelamento
Se il congelamento delle DTA venisse effettivamente introdotto, per le banche significherebbe soltanto un rinvio nell’utilizzo: non potendo sfruttarli nel 2026 e nel 2027, lo farebbero negli esercizi successivi. In sostanza, le maggiori tasse pagate oggi verrebbero compensate da minori imposte in futuro.
Dal punto di vista dei mercati, l’impatto teorico sarebbe meno forte rispetto a una tassazione diretta, come quella tentata nel 2023.
Secondo gli analisti di Intermonte, una misura del genere non dovrebbe compromettere la redditività e la capacità di remunerazione degli istituti, “in quanto sospende la compensazione cash tramite crediti fiscali”.
Non andrebbe a toccare le DTA off-balance, “le quali permettono di avere una plusvalenza fiscale dopo la linea dell’utile pre-tasse e, di conseguenza, di abbattere il carico fiscale a livello di conto economico”. Inoltre, “andrebbe a sospendere la compensazione tra crediti e debiti fiscali fino al 2027”. Compensazione che “dopo quella data, di fatto, potrebbe riprendere”.
Si tratterebbe dunque di una soluzione che da una parte eviterebbe di creare shock di mercato, e dall’altra di garantire al Tesoro la possibilità di trovare liquidità per finanziare la prossima Legge di Bilancio, e tutti i vari provvedimenti (riduzione dell’IRPEF in primis).